Sentenza n. 144 del 2023

SENTENZA N. 144

ANNO 2023

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), come sostituito dall’art. 22 della legge della Regione Piemonte 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l’anno 2003), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, sezione quinta, nel procedimento vertente tra C&G Ambiente srl e Città metropolitana di Torino, con ordinanza del 28 luglio 2021, iscritta al n. 146 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2022, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 24 maggio 2023.

Udita nella camera di consiglio del 25 maggio 2023 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2023.

Ritenuto in fatto

1.– La Commissione tributaria provinciale (CTP) di Torino, sezione quinta, solleva, con ordinanza del 16 luglio 2021, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), come sostituito dall’art. 22 della legge della Regione Piemonte 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l’anno 2003), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione. La disposizione censurata, prima di essere abrogata, stabiliva che «[i] gestori di impianti di incenerimento e discarica di rifiuti urbani e di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, fatta esclusione per i rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, compresi quelli contenenti amianto, conferiti in discariche per rifiuti inerti e per rifiuti non pericolosi corrispondono, fin dal momento dell’entrata in vigore della presente legge, alla provincia sede dell’impianto un contributo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di rifiuti sottoposti, nell’anno, alle succitate operazioni».

2.– Il rimettente riferisce: che la C&G Ambiente srl, ricorrente nel giudizio a quo, gestisce una discarica di rifiuti inerti nel Comune di Caravino (TO); che, con avviso del 10 settembre 2019, la Città metropolitana di Torino ha accertato a suo carico un contributo ai sensi della norma censurata, per il periodo dal 1° luglio 2014 al 31 dicembre 2017; che la stessa C&G Ambiente srl ha impugnato tale avviso davanti alla CTP di Torino.

3.– Il giudice a quo si sofferma in primo luogo sulla rilevanza della questione, osservando che l’art. 16, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002 sarebbe stato abrogato dall’art. 17 della legge della Regione Piemonte 29 giugno 2018, n. 7 (Disposizioni urgenti in materia di bilancio di previsione finanziario 2018-2020), ma che esso resterebbe nondimeno applicabile ratione temporis nel giudizio a quo, avente a oggetto l’obbligo di pagare il contributo in relazione a un periodo di imposta precedente l’abrogazione.

Il rimettente afferma, inoltre, di ritenere soggetti al contributo anche i gestori di discariche di rifiuti inerti, con la sola esclusione dei rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, che sarebbero già «stati esclusi dalla resistente in sede di accertamento come risulta dalla tabella riepilogativa dei rifiuti conferiti, allegata all’accertamento […], nella quale sono indicati tipo di rifiuto, il quantitativo e il codice CER assoggettato a contribuzione». A questo proposito, il giudice a quo dichiara di condividere l’interpretazione della disposizione censurata fornita dalla Commissione tributaria regionale (CTR) del Piemonte, che, in altro giudizio riguardante sempre la C&G Ambiente srl, ha ritenuto elemento decisivo, per l’applicazione del contributo, la «provenienza del rifiuto che innocuo può essere contaminato se residuo di lavorazione inquinante», sicché «il riferimento cui rapportarsi è il codice CER introdotto con Decisione Comunitaria della Commissione n. 2000/532/CE Direttiva Ministero Ambiente 9.4.2002 che specifica sulla base della derivazione l’assoggettabilità al contributo».

La norma censurata giustificherebbe, dunque, la pretesa manifestata dalla Città metropolitana di Torino con l’avviso impugnato e, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale sollevata su di essa sarebbe rilevante.

4.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente ricorda che, con la sentenza n. 58 del 2015, questa Corte ha già dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 16, comma 4, della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002, il quale prevedeva che «[i] soggetti che gestiscono impianti di pre-trattamento e di trattamento di scarti animali tali quali ad alto rischio e a rischio specifico di encefalopatia spongiforme bovina BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di materiale trattato nell’anno. I soggetti che gestiscono impianti di riutilizzo di scarti animali trattati ad alto rischio e a rischio specifico BSE corrispondono ai comuni sede degli impianti un contributo minimo annuo di 0,15 euro ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell’anno». Secondo il giudice a quo, tale norma sarebbe «speculare quanto alla tipologia di “contributo” istituito» a quella oggi censurata, ciò che consentirebbe di riproporre nel presente giudizio le considerazioni svolte da questa Corte in quell’occasione.

Il rimettente argomenta dunque la natura tributaria del contributo previsto dalla norma censurata, riproducendo, con piccoli adattamenti, un ampio brano della sentenza n. 58 del 2015 di questa Corte, e su questa base afferma la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., adducendo anche a tale specifico proposito un ampio passaggio della medesima sentenza.

In sintesi, sotto il primo profilo, l’obbligo del pagamento del contributo troverebbe la sua fonte esclusiva nella legge regionale e non in un rapporto sinallagmatico tra le parti. La prestazione imposta non costituirebbe remunerazione dell’uso di beni provinciali, né sarebbe corrispettivo dell’atto amministrativo di localizzazione del sito. Essa sarebbe invece destinata a finanziare i «costi supplementari, non solo patrimoniali, derivanti al territorio per ragioni ascrivibili all’insediamento dell’impianto in quel determinato luogo», e avrebbe dunque, in ultima analisi, la «finalità di dotare l’ente pubblico dei mezzi finanziari necessari ad assolvere le funzioni di cura concreta degli interessi generali». Il contributo sarebbe, pertanto, «uno strumento di riparto, ai sensi dell’art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in ragione della capacità economica manifestata dai soggetti gestori degli impianti» (è citata la sentenza n. 280 del 2011 di questa Corte).

Sotto il secondo profilo, il rimettente afferma che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la disciplina dei rifiuti sarebbe riconducibile alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. In questo contesto, lo Stato avrebbe il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, ferma restando la competenza delle Regioni alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Avendo riguardo alle diverse fasi e attività di gestione del ciclo dei rifiuti e agli ambiti materiali ad esse connessi, la disciplina statale uniforme costituirebbe «un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino».

Sempre richiamando la sentenza n. 58 del 2015, il giudice a quo osserva ancora che, nella fattispecie in esame, l’«inevitabile interferenza tra titoli di competenza formalmente ripartiti tra Stato (tutela dell’ambiente) e Regioni (potestà impositiva di tributi propri), ovvero concorrenti (tutela della salute, governo del territorio)», dovrebbe essere risolta in base al principio di prevalenza, in particolare ritenendo prevalente la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente. Nel caso in esame, in cui la Regione ha istituito un tributo gravante sullo svolgimento di attività di gestione dei rifiuti, occorrerebbe «preservare il bene giuridico “ambiente” dai possibili effetti distorsivi derivanti da vincoli imposti in modo differenziato in ciascuna Regione». La disciplina unitaria statale avrebbe lo «scopo di prefigurare un quadro regolativo uniforme degli incentivi e disincentivi inevitabilmente collegati alla imposizione fiscale, tenuto conto dell’influenza dispiegata dal tributo (i cosiddetti “effetti allocativi”) sulle scelte economiche di investimento e finanziamento delle imprese operanti nel settore dei rifiuti e della loro attitudine a ripercuotersi, per l’oggetto stesso dell’attività esercitata da tali imprese, sugli equilibri ambientali».

5.– Le parti del giudizio a quo non si sono costituite nel presente giudizio, né in esso è intervenuto il Presidente della Regione Piemonte.

Considerato in diritto

1.– La Commissione tributaria provinciale (CTP) di Torino dubita della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002, come sostituito dall’art. 22 della legge reg. Piemonte n. 2 del 2003. Tale disposizione, prima di essere abrogata (come illustrato di seguito), stabiliva che «[i] gestori di impianti di incenerimento e discarica di rifiuti urbani e di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, fatta esclusione per i rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, compresi quelli contenenti amianto, conferiti in discariche per rifiuti inerti e per rifiuti non pericolosi corrispondono, fin dal momento dell’entrata in vigore della presente legge, alla provincia sede dell’impianto un contributo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di rifiuti sottoposti, nell’anno, alle succitate operazioni». Secondo il rimettente, la norma in questione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto il contributo previsto avrebbe natura tributaria e la norma censurata produrrebbe «effetti distorsivi» sul bene giuridico “ambiente”, condizionando le «scelte economiche di investimento e finanziamento delle imprese operanti nel settore dei rifiuti». La motivazione relativa alla non manifesta infondatezza della questione è ricalcata sulla sentenza n. 58 del 2015, con cui questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 16, comma 4, della stessa legge reg. Piemonte n. 24 del 2002, che contemplava – a carico dei gestori di impianti di pre-trattamento e di trattamento di determinati scarti animali – un contributo ritenuto dal rimettente «speculare» a quello previsto dalla norma ora censurata.

2.– L’art. 16 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002 è stato abrogato dall’art. 37, comma 1, lettera d), della legge della Regione Piemonte 10 gennaio 2018, n. 1 (Norme in materia di gestione dei rifiuti e servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e modifiche alle leggi regionali 26 aprile 2000, n. 44 e 24 maggio 2012, n. 7), con disposizione poi modificata dall’art. 39, comma 1, della legge della Regione Piemonte 5 aprile 2018, n. 4 (Bilancio di previsione finanziario 2018-2020), e dall’art. 17, comma 1, della legge reg. Piemonte n. 7 del 2018. Il rimettente ritiene la norma censurata applicabile nel giudizio a quo, in quanto esso ha ad oggetto l’obbligo di pagare il contributo in relazione ad un periodo di imposta (dal 1° luglio 2014 al 31 dicembre 2017) precedente l’abrogazione. Sotto questo profilo, la motivazione sulla rilevanza risulta sufficiente e plausibile.

3.– Per un altro profilo, invece, la motivazione sulla rilevanza presenta vizi tali da rendere la questione sollevata inammissibile.

3.1.– È opportuno, in primo luogo, ricostruire il quadro normativo, sia regionale che statale, in cui si inserisce la disposizione censurata.

Essa è frutto di una modifica apportata all’art. 16 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002 dall’art. 22 della legge reg. Piemonte n. 2 del 2003. Nel testo originario (contenuto nel comma 7 dell’art. 16), la disposizione in questione prevedeva che «[i] gestori di impianti di incenerimento e discarica di rifiuti urbani e di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi, fatta esclusione per i rifiuti speciali inerti, corrispondono, fin dal momento dell’entrata in vigore della presente legge, alla provincia sede dell’impianto un contributo annuo di 0,25 euro ogni 100 chilogrammi di rifiuti sottoposti, nell’anno, alle succitate operazioni». I «rifiuti speciali inerti» erano dunque esclusi in modo chiaro dall’ambito di applicazione del contributo.

Tale esclusione si poneva sulla scia di due precedenti norme regionali. In particolare, l’art. 16, comma 1, della legge della Regione Piemonte 2 maggio 1986, n. 18 (Prime norme per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti, in attuazione del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915), stabiliva che «[i] soggetti gestori di impianti di innocuizzazione e di eliminazione e di discariche di rifiuti urbani, assimilabili agli urbani, speciali fatta esclusione per gli inerti e tossici e nocivi, nonché i soggetti gestori di impianti di stoccaggio provvisorio dei rifiuti tossici e nocivi per conto terzi, sono tenuti a corrispondere dal momento dell’attivazione, se nuova attività, e a partire dal 31 luglio 1986 se attività esistente, al Comune sede di impianto di innocuizzazione e di eliminazione o di discarica, un contributo annuo pari a lire 2 e al Comune sede di impianto di stoccaggio provvisorio un contributo annuo pari a lire 1 per ogni chilogrammo di rifiuti rispettivamente innocuizzati, eliminati, collocati in discarica o stoccati nell’anno precedente»; questa disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 280 del 2011 di questa Corte. In seguito, l’art. 41, comma 3, della legge della Regione Piemonte 13 aprile 1995, n. 59 (Norme per la riduzione, il riutilizzo e lo smaltimento dei rifiuti), ha statuito che «[i] soggetti gestori di discariche di rifiuti urbani, assimilabili agli urbani, speciali, tossici e nocivi, fatta esclusione per i rifiuti inerti, sono tenuti a corrispondere fin dal momento dell’attivazione se nuove discariche e dall’entrata in vigore della presente legge se discariche esistenti, alla Provincia ove ha sede la discarica, un contributo minimo annuo di lire cinque ogni chilogrammo di rifiuti collocati in discarica nell’anno in corso» (disposizione analoga era contenuta nel comma 1).

Per un lungo periodo e sulla base di tre diversi testi legislativi regionali (del 1986, del 1995 e del 2002), dunque, i gestori di discariche di rifiuti inerti sono stati esonerati dal contributo. I rifiuti in questione sono definiti come «i rifiuti solidi che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili e, in caso di contatto con altre materie, non comportano effetti nocivi tali da provocare inquinamento ambientale o danno alla salute umana. La tendenza a dar luogo a percolati e la percentuale inquinante globale dei rifiuti, nonché l’ecotossicità dei percolati devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque, superficiali e sotterranee» (art. 2, comma 1, lettera e, del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, recante «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti»).

L’art. 22 della legge reg. Piemonte n. 2 del 2003 ha interamente sostituito l’art. 16 della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002, che nel comma 6 contiene la previsione oggetto del presente giudizio di legittimità costituzionale.

Il significato della disposizione novellata non era di immediata comprensione. Da un lato, essa distingueva dalle altre le discariche per rifiuti inerti e non le menzionava là dove individuava i soggetti passivi del contributo, ossia «[i] gestori di impianti di incenerimento e discarica di rifiuti urbani e di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi»; dall’altro lato, limitava letteralmente l’ambito di esonero dal contributo ai «rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, compresi quelli contenenti amianto, conferiti in discariche per rifiuti inerti e per rifiuti non pericolosi».

Tale ultimo inciso si spiegava verosimilmente alla luce di una coeva vicenda normativa statale. L’art. 17, comma 6, del d.lgs. n. 36 del 2003 aveva abrogato, infatti, fra l’altro, l’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994 (Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per l’adozione di piani di protezione, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica dell’ambiente, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto), il cui comma 3 stabiliva che, «[l]imitatamente ai rifiuti costituiti da sostanze o prodotti contenenti amianto legato in matrice cementizia o resinoide, classificabili quali rifiuti speciali ai sensi del citato decreto n. 915 del 1982, è consentito lo smaltimento anche in discariche di seconda categoria-tipo A, purché tali rifiuti provengano esclusivamente da attività di demolizione, costruzioni e scavi». Le discariche di seconda categoria di tipo A erano gli «impianti di stoccaggio definitivo nei quali possono essere smaltiti soltanto rifiuti inerti», in base alla delibera del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, concernente lo smaltimento dei rifiuti (punto 4.2.3.1). L’art. 17, comma 2, lettera a), del d.lgs. n. 36 del 2003, però, aveva stabilito che, in via transitoria (fino al 16 luglio 2005, nel suo testo originario), potevano essere smaltiti nelle discariche per rifiuti inerti i «rifiuti precedentemente avviati a discariche di II categoria, tipo A», nel rispetto delle condizioni di cui al citato art. 6 del d.P.R. 8 agosto 1994.

Il decreto ministeriale 13 marzo 2003 (Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica) aveva poi stabilito che i rifiuti da costruzione e demolizione contenenti amianto dovevano essere smaltiti (in presenza di certe condizioni) nelle discariche per rifiuti non pericolosi e non in quelle per rifiuti inerti (artt. 2, comma 4, 3, comma 4, lettera c, e 3, comma 5, lettera c; nonché Allegato 1 all’intero decreto).

È in questo contesto che la Regione Piemonte, a ridosso dell’introduzione della descritta normativa statale, ha operato a sua volta la precisazione contenuta nell’inciso, diretta verosimilmente a chiarire che i rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, contenenti amianto, restavano esonerati dal contributo se conferiti in discariche per rifiuti inerti o anche in quelle per rifiuti non pericolosi.

3.2.– In un contenzioso diverso da quello all’origine del presente giudizio (ma riguardante sempre la C&G Ambiente srl), l’art. 16, comma 6, della legge reg. Piemonte n. 24 del 2002 è stato oggetto di interpretazioni discordanti: mentre, in primo grado, la CTP Torino ha accolto il ricorso della società, ritenendo le discariche di rifiuti inerti escluse dal contributo (sezione ottava, sentenza 14 settembre 2017, n. 1080), in appello la CTR Piemonte ha riformato la decisione di primo grado, seguendo una diversa interpretazione della disposizione censurata (sezione quinta, sentenza 4 giugno 2019, n. 719).

L’odierno rimettente si allinea a questa seconda interpretazione del medesimo art. 16, comma 6, e ritiene che il ricorso dovrebbe essere respinto, salvo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale proposta.

In particolare, il giudice a quo afferma di ritenere soggetti al contributo anche i gestori di discariche di rifiuti inerti, con la sola esclusione dei rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, che sarebbero già «stati esclusi dalla resistente in sede di accertamento come risulta dalla tabella riepilogativa dei rifiuti conferiti, allegata all’accertamento […], nella quale sono indicati tipo di rifiuto, il quantitativo e il codice CER assoggettato a contribuzione». La legittimità dell’atto impugnato viene motivata sulla base dell’«interpretazione corretta» dell’art. 16, comma 6, quale risulta dalla citata decisione della CTR Piemonte, secondo cui – riferisce il rimettente – la stessa disposizione dovrebbe essere interpretata «non con riferimento alla discarica o al rifiuto ma alla provenienza del rifiuto che innocuo può essere contaminato se residuo di lavorazione inquinante», ragion per cui l’ambito dell’esclusione dovrebbe essere individuato con riferimento al «codice CER [catalogo europeo dei rifiuti] introdotto con Decisione Comunitaria della Commissione n. 2000/532/CE Direttiva Ministero Ambiente 9.4.2002 che specifica sulla base della derivazione l’assoggettabilità al contributo».

3.3.– Il passaggio della sentenza della CTR Piemonte citato dal rimettente non è idoneo a fornire una motivazione sufficiente e plausibile sulla legittimità dell’atto contestato nel giudizio a quo e, dunque, sulla pregiudizialità della questione. Esso si limita a indicare come elemento decisivo per l’applicazione del contributo la possibile contaminazione e la possibile provenienza «inquinante» del rifiuto, sebbene la circostanza non spieghi perché sarebbero assoggettati al contributo i rifiuti inerti non pericolosi diversi da quelli provenienti da costruzione, demolizione e scavi (ad esempio, vetro oggetto di raccolta differenziata o imballaggi in vetro).

A parte questo, comunque, il giudice a quo omette del tutto di considerare diversi elementi che risultano invece rilevanti nell’interpretazione della disposizione censurata, ai fini della soluzione del dubbio se essa intendesse assoggettare al contributo anche i gestori di discariche di rifiuti inerti. In primo luogo, infatti, l’art. 16, comma 6, sottoponeva al contributo solo i «gestori di impianti di incenerimento e discarica di rifiuti urbani e di rifiuti speciali non pericolosi e pericolosi», mentre non menzionava i gestori di discariche di rifiuti inerti, alle quali la stessa disposizione riconosceva autonomo rilievo, in coerenza con l’art. 4 del d.lgs. n. 36 del 2003, che distingue le discariche in tre categorie: per rifiuti inerti, per rifiuti non pericolosi e per rifiuti pericolosi.

In secondo luogo, il riferimento ai «rifiuti da costruzione, demolizione e scavi, compresi quelli contenenti amianto, conferiti in discariche per rifiuti inerti e per rifiuti non pericolosi», potrebbe essere stato inserito non per restringere l’ambito dell’esonero, ma per chiarire il regime di quei particolari rifiuti, tenuto conto delle vicende normative statali (sopra illustrate al punto 3.1.) riguardanti quegli stessi rifiuti (vicende di cui non si trova traccia nell’ordinanza di rimessione).

Ancora, il giudice a quo non considera che tutte le disposizioni regionali analoghe, precedenti rispetto all’art. 22 della legge reg. Piemonte n. 2 del 2003 (cioè, quelle vigenti dal 1986 al 2002: si veda il punto 3.1.), escludevano chiaramente i rifiuti inerti dal contributo, e omette di interrogarsi, dunque, sulla ratio alla base dell’asserito (dalla CTR Piemonte e dallo stesso rimettente) mutamento di indirizzo, volto ad esonerare dal contributo non tutti i rifiuti inerti ma solo quelli provenienti da costruzione, demolizione e scavi. Similmente, il rimettente non considera l’apparente irragionevolezza dell’assoggettamento al contributo di alcuni rifiuti inerti (come, per esempio, il vetro oggetto di raccolta differenziata o gli imballaggi in vetro), a fronte del diverso trattamento che sarebbe riservato invece ai rifiuti inerti dello stesso tipo provenienti da costruzione, demolizione e scavi.

In conclusione, da un lato l’argomento offerto per affermare la legittimità dell’atto impugnato appare implausibile, in quanto il criterio della “contaminazione” risulta contraddittorio rispetto alle caratteristiche dei rifiuti inerti; dall’altro lato, il rimettente omette di confrontarsi con numerosi elementi che risultano rilevanti ai fini della ricostruzione del significato della disposizione censurata.

Ne consegue l’inammissibilità della questione (ex multis, sentenze n. 7 del 2023, n. 225 e n. 52 del 2022; ordinanze n. 132 e n. 76 del 2022).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 6, della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti), come sostituito dall’art. 22 della legge della Regione Piemonte 4 marzo 2003, n. 2 (Legge finanziaria per l’anno 2003), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, sezione quinta, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2023